Una volta sola

il Curci trovò nella sua vita, 
tutta candore ed umiltà, 
il coraggio di rispondere 
ad un suo maestro che stimava, 
e fu quando gli si rinfacciò: 
"Cosa credi di aver fatto 
con il tuo farmaco 
brevettato con il tuo nome?".


E il Curci, 
indignato ma pieno di rossore:
"Ho svolto lo stesso processo del Fleming. 
Egli ha reso assorbibile la penicillina,
io la Rifomicina S.V." 

Silenziosamente si lasciarono 
maestro e discepolo.
 
Glauco a 10 anni con la mamma Antonietta Gioconda

 

  

   

I genitori, Arturo e Antonietta Gioconda

     Glauco Curci nacque a Napoli il 27 aprile del 1922.

     Il padre Arturo era un distinto e noto medico, che gli inculcò il più luminoso disinteresse economico, in un rapporto di rispetto e di comprensione verso l'ammalato.

    Glauco ereditò tale atteggiamento umanissimo, sempre aperto al sorriso ed al conforto, anche da altri membri della famiglia quali sua madre Antonietta Gioconda Trimarchi, apprezzata e sensibile scrittrice, promotrice dell'Arte, oltre che figlia del compositore Rocco Trimarchi, il cugino Lino Curci, poeta e giornalista, e lo zio Alberto Curci,  valente violinista e didatta, le cui opere vengono tuttora studiate nei conservatori,  nonchè editore di musica.


     Uomo coltissimo in ogni campo, dalla letteratura alla musica, dall'arte alla scienza, eppure umilissimo e facile al rossore, Glauco Curci si dedicò soprattutto alla ricerca nel mondo medico. 
      Diplomatosi a 16 anni,  a 22 si laureò in Medicina con la lode e a 24 era specialista in Tisiologia, raggiungendo rapidamente il conseguimento della Docenza in questa branca, allora molto importante per la larga diffusione  della Tubercolosi.
     Vi affiancò, con molta lungimiranza, lo studio della Chemioterapia (perfezionamento necessario per la cura delle infezioni), ottenendo presto la Docenza anche in questa disciplina, pervenendo a risultati importanti molto personali, che l'imposero all'attenzione del mondo scientifico internazionale.

  
     Nel 1958, con l'entusiastico appoggio del Prof.Ferdinando D'Ambrosio e del Prof.Emilio Trabucchi, entrambi membri della Camera dei Deputati, Glauco Curci ottenne l'approvazione all'unanimità della Camera di una sua proposta di legge, per l'assegnazione di un vitalizio ai genitori del martire Salvo D'Acquisto.

      

     "...e se Glauco Curci avesse avuto bisogno del SUO farmaco,
avrebbe dovuto acquistarlo in farmacia..."

    Tra le sue ricerche, va ricordata in particolare quella che diede una svolta positiva all'impiego e allo sviluppo di una famiglia importante di antibiotici, le Rifamicine, utili nella cura di molti processi infettivi tra cui la Tubercolosi ed oggi anche degli Herpes zooster e simplex.

     L'impiego sull'uomo del potente nuovo antibiotico (l'attuale nome commerciale è "Rifadin") era reso impossibile dai suoi effetti altamente lesivi.
     Nel 1961, dopo mesi di incessanti ricerche, Glauco riuscì ad eliminarli. Era il momento di passare dalle prove di laboratorio alle corsie dell'ospedale, e quindi alla messa in commercio del farmaco... ma Glauco voleva essere sicuro...

il prof. Andrea Ninni

"Lui volle esserne la prima cavia umana, ed io gli iniettai la prima dose di Rifamicina, preparata in laboratorio"  testimoniava il suo più diretto collaboratore, il ricercatore prof.Andrea Ninni (scomparso nel 2005), divenuto successivamente Primario di Laboratorio Clinico e di Ricerche dell'ospedale "Monaldi" (ex "Principi di Piemonte"), e nipote del prof.Camillo Ninni, collaboratore del prof.Calmette dell'Istituto di Parigi.

        Generosamente, Glauco Curci donò tutto alla Lepetit, chiedendo solo l'istituzione di una Borsa di studio per Ricercatori intitolata a sua madre, recentemente scomparsa... tanto che, se avesse avuto bisogno del "suo" farmaco, avrebbe dovuto acquistarlo in farmacia.

1962: Glauco Curci con la moglie Anna

     Pur concentrato costantemente negli studi, in una forma di vita ispirata ad alti ideali, che lo rese quasi introverso, Glauco si aprì alle dolcezze familiari, attraverso il matrimonio, nel 1962,  con Anna, sorella del prof. Andrea Ninni, e le cure affettuose per l'unica figlia Antonella Gioconda, nata nel 1963.

Glauco Curci con la moglie Anna

    Quanto Glauco ha fatto negli operosi anni della giovinezza e della maturità è sufficiente a considerarlo una figura di grande rilievo nella Scuola Medica Napoletana ed Italiana.

    In rapporti cordiali con eminenti Colleghi e Scienziati, ebbe la stima e l'elogio di Premi Nobel come Bovet, di scienziati come Trabucchi, Donatelli, Garattini, Omodei Zorini, Daddi, Verga, Grassi e tanti altri, in Italia ed all'estero, conseguendo medaglie d'oro e d'argento dal Ministero della Sanità e dalla Federazione Italiana contro la tubercolosi.

Antonella Gioconda, l'unica figlia di Glauco Curci

    A tutto ciò, si sarebbero sicuramente aggiunti altri grandi successi, per il bene dell'umanità, se egli avesse avuto il tempo di proseguire la sua giornata terrena...


  

  
"...amico mio, ho un male che mi distruggerà..." 
  

Una delle ultime apparizioni pubbliche di Glauco Curci

     A 58 anni, Glauco Curci notò su se stesso i primi sintomi di una grave malattia, e si confidò segretamente con un caro amico, che rispettò la sua volontà e riferì tale confidenza solo dopo la sua morte.
     Glauco non voleva
addolorare in anticipo la moglie e la figlia, ma loro non poterono fare a meno di notare i suoi comportamenti inusuali, sempre più frequenti, dovuti all'avanzare inarrestabile del male. 
    
Ben presto, Anna ed Antonella vennero a conoscenza della terribile verità, il cui nome era: Morbo di Alzheimer. Nei primissimi anni, gli effetti della malattia consentirono a Glauco di condurre una vita professionale e sociale apparentemente immutata, pur essendo ben visibili agli occhi dei familiari.

 
    
Forse fu la vita intensa, messa al servizio disinteressato della Società, nello studio e nella ricerca, nell'ospedale e nei laboratori, a predisporre Glauco Curci a questo male insidioso e crudele, che per lunghi anni lo tolse gradualmente ai suoi interessi ed ai suoi affetti. 

  
    Egli lo sopportò con grande rassegnazione, in attesa di una fine liberatoria, tenendo sempre accanto a sè un ritratto del Prof. Giuseppe Moscati, di cui era devoto e fervente estimatore. Però, essendo sempre stato dotato di una memoria incredibilmente ferrea, spesso si rammaricava: "Il Signore mi aveva dato una sola cosa buona, la memoria, che tutti m'invidiavano". 
 

.     La tanto attesa "fine liberatoria" giunse sotto forma di pancreatite emorragica, che ne richiese il ricovero d'urgenza nello stesso ospedale che fu il teatro dei suoi studi, delle sue ricerche e del suo lavoro sin dalla giovinezza.
     E la "giornata terrena" di Glauco terminò a 66 anni, nel Reparto di Terapia Intensiva, il 28 giugno 1988.

   

 

 

 

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